Napoli
da: Napòlide, di Erri De Luca, Ed. Libreria Dante & Descartes, 2006.
A Napoli, quando scendo gli scalini del treno, non mi sento tornato. Invece mi sento solo, con un diritto più intimo di quello che provo altrove. Una città non perdona il distacco, che è sempre una diserzione. Sono d'accordo con lei, con la città: chi non c'era, chi è mancato, ora non c'è. è decaduto il suo diritto di cittadinanza. Ora è uno dei tanti passanti che essa accoglie, senza opporre resistenza, lo straniero imbambolato che nessuno scaccia, sbirciato come merce da raggiro. Ho rispetto del diritto di rigurgito che la città applica a chi se ne allontana. Se rispondo di me presso di lei è perché porto i panni dell'ospite, non del cittadino. E se non ho il diritto di definirmi apolide, posso dirmi napòlide, uno che si è raschiato dal corpo l'origine, per consegnarsi al mondo.
Mai più ho attecchito altrove.
Chi si è staccato da Napoli, si stacca poi da tutto: non ha neanche lo sputo per incollarsi a qualcosa, a qualcuno.
Mai più ho sputato, ho solo inghiottito, inghiottito.
Il timbro sul biglietto del treno aveva il colpo furibondo di una porta sbattuta alle spalle. Ero cancellato io, non il biglietto.